Cesare Zavattini (1902-1989)

E’ stato uno dei più grandi pensatori e intellettuali del Novecento, Cesare Zavattini. Sempre pronto ad intervenire in prima persona nel dibattito culturale, dotato di una spiccata intuizione per i processi di comunicazione, fu considerato subito uno scrittore off, fuori da qualunque genere. Il suo umorismo particolarissimo, raffinato, nasce dall’amore per l’Uomo e dalla pietà per le sue piccinerie e la sua fragilità. La sua prosa immaginifica, molto vicina al Surrealismo, in realtà è indefinibile.

È stato, infatti, uno scrittore d’avanguardia, ma ha agito sempre individualmente, precorrendo i tempi in tutti i settori in cui operava. Considerato il maggior rappresentante del Neorealismo italiano, il suo realismo segue la poetica della meraviglia: nella realtà, che è meravigliosa di per sé, bisogna ricercare quegli aspetti che non vediamo. Diceva: «Il mondo è piccolo, se noi vediamo piccolo».

Cesare Zavattini nasce a Luzzara (Reggio Emilia) nel 1902, dove vive fino all’età di sei anni. Studia a Bergamo, ma prosegue gli studi prima a Roma, dove i genitori si sono trasferiti dopo aver affittato il Caffè Zavattini (1916-17), poi ad Alatri (1918-20). È in questi anni che incomincia ad avvicinarsi al teatro, al cinema, alla letteratura: Viviani, Petrolini, il Variété 17, gli spettacoli del trasformista Fregoli, le riviste di cinematografia, e poi Dostoievskij e l’Uomo finito di Papini, il libro che gli resterà più impresso. Si iscrive alla facoltà di Legge a Parma (non si laureerà mai), e nel 1922 entra come istitutore nel collegio Maria Luigia, dove ben presto si distingue per il suo carattere estroso, facendo divertire gli studenti con giochi e bizzarrie. Qui conosce Guareschi, col quale collabora al primo giornale umoristico della sua carriera, e Attilio Bertolucci. Nel 1926 collabora alla «Gazzetta di Parma», nel ’28 lascia il collegio, e nel ’29 a Firenze, per il servizio militare, entra in contatto con l’ambiente della rivista «Solaria».

Nel 1930 si trasferisce a Milano. È in difficoltà economiche, per questo è costretto a lavorare di giorno presso Rizzoli e di notte presso Bompiani. Nel ’30 scrive su «Cinema illustrazione» la rubrica Cronache da Hollywood, inventandole e firmandole con vari pseudonimi. Nel ’31 inizia con Bompiani l’Almanacco letterario. Sempre per Bompiani, nel 1931 pubblica il suo primo libro, Parliamo tanto di me. Lo stile leggero e la giocosità caratterizzano la prima produzione zavattiniana, e un’originalità che si rifà ai tre punti fondamentali della sua poetica: il rifiuto del romanzo, capolavoro degli eroi; il rifiuto della prosa d’arte, a favore del frammento, del lapsus, della forma breve, del motto di spirito (un linguaggio vicino alla psicanalisi); il comico inteso come umorismo pirandelliano, denuncia e rappresentazione critica della realtà.

Il libro, presentato da Massimo Bontempelli al premio Viareggio, è un successo. Rizzoli poco dopo gli affida la redazione di importanti periodici e della prima collana editoriale I giovani. Nel ’34 Zavattini, che sarà sempre sostenitore di iniziative di solidarietà, promuove il Premio della bontà. Nel ’35 comincia a lavorare come soggettista e sceneggiatore, esordendo con Darò un milione e proseguendo con altri film di minor spessore. Nel ’36 comincia a lavorare per Mondadori, curando il settore Walt Disney, i fumetti per ragazzi, il periodico «Le grandi firme» su cui pubblica racconti delle grandi firme della letteratura italiana.

Nel 1937 esce il libro I poveri sono matti. La follia è vista come un momento di libertà e d’invenzione, come sinonimo di infanzia e di povertà. I poveri sono i poveri di spirito, i semplici della tradizione cristiana, e se per Zavattini Cristo è un mito, un modello per l’uomo, egli stesso non apparterrà mai né ad una fede religiosa, né ad una fede politica. L’amore, l’uguaglianza, la solidarietà sono per Zavattini totalmente laici.

Per un esaurimento nervoso, lascia la Mondatori e si ritira a Oltre il Colle (Milano). Qui si avvicina per la prima volta alla pittura (che per lui sarà curativa) e da allora non la lascerà più. Il suo stile naïf predilige soggetti minuti e dimessi: funeralini, cimiterini, autoritratti. Nello stesso anno inizia il Diario di cinema e di vita. Nel 1939 conosce Vittorio De Sica: è l’inizio di un’amicizia che li vedrà in tutti gli anni ’50 protagonisti della stagione d’oro del Neorealismo, con Sciuscià, Ladri di biciclette, Miracolo a Milano, Umberto D. Nel 1941 esce Io sono il diavolo. Qui il tema irrazionale dell’inconscio e delle problematiche sotterranee dell’uomo si fa più evidente, in linea con il Surrealismo più aggressivo di Georges Bataille. I cambiamenti nello stile e nel linguaggio sono dovuti al momento di crisi che Zavattini sta attraversando e che lo porta ad avere maggior consapevolezza della complessità dell’uomo e di se stesso, delle sue ipocrisie e del suo egoismo. L’umorismo diventa grottesco, fino a raggiungere forme di crudeltà e di sadismo.

Nel 1943 vince il Premio Cavallino per pittori-scrittori. Scrive Ipocrita 1943, che uscirà completo nel ’55. È il primo atto di un programma di Zavattini per uscire dal dibattito che ha seguito la fine della seconda guerra mondiale sul ruolo degli intellettuali durante il ventennio fascista. Zavattini si dissocia dalle polemiche astratte e decide di operare concretamente mettendo l’uomo al centro della sua riflessione. Gli “altri” saranno il modo per liberarsi dal senso di colpa per non aver agito contro il Fascismo.

Sempre del ’43 è il libro Totò il buono da cui verrà tratto il film di De Sica Miracolo a Milano. Riprende la poetica della meraviglia e il tono favolistico della narrazione, e continua la poetica dell’amore e della solidarietà per cercare di dare un senso alla vita esorcizzando la morte.

Nel ’49 vince l’Oscar con Ladri di biciclette di De Sica. A partire dall’immediato dopoguerra, va svolgendo una funzione rilevante nelle associazioni degli autori cinematografici e delle cooperative. Nel ’55 vince il Premio Lenin Mondiale per la pace. Il tema della pace sarà sempre caro a Zavattini: sua è l’idea di introdurre discussioni sulla pace nelle scuole. Agli anni ’60 risale la lunga presenza a Cuba, da dove lo chiamano per collaborare alla nascita del nuovo cinema dopo la rivoluzione. Nel ’67 pubblica Straparole, di cui fanno parte Lettera da Cuba a una donna che lo ha tradito, Riandando, Viaggetto sul Po; nel ’70 Non libro più disco, che non fu ben accolto dalla critica; nel ’73 Stricarm’n d’na parola, poesie in dialetto luzzarese. Nel ’76 Un paese vent’anni dopo, La notte che ho dato uno schiaffo a Mussolini, Al macero. Dal poemetto Ligabue viene tratto uno sceneggiato televisivo sul pittore. Del 1982 è La Veritàaaa (sic), di cui è soggettista, sceneggiatore, regista, attore. A quest’opera affida il messaggio morale e poetico di tutta una vita.

Muore a Roma nel 1989.